Che il 2020 passerà tristemente alla storia come “L’Era Covid” è un dato di fatto ormai. E nessuno può negare che durante questi mesi siamo stati più volte al giorno bombardati da notizie e bollettini sullo stato dei contagi e sulla diffusione del virus.
Quello di cui pochi di noi si sono accorti, invece, è del “contagio”, ben più subdolo dello stesso coronavirus, perpetrato dalla lingua inglese ai danni della nostra lingua italiana proprio durante i mesi del Coronavirus. Dalla notte al giorno, infatti, il nostro vocabolario ha subìto una vera e propria invasione di termini anglosassoni. Parole fino ad allora sconosciute si sono letteralmente riversate come un fiume in piena nel nostro linguaggio comune diventando nostro malgrado parte della nostra quotidianità.
Se altre lingue a noi vicine, come lo spagnolo e il francese, hanno quasi esclusivamente usato parole già esistenti nel loro vocabolario, o al massimo facendone un calco o una traduzione simile al modello inglese traducendole dal linguaggio medico internazionale, l’italiano invece ha preferito assistere passivamente a questi “virus” linguistici.
Di seguito abbiamo selezionato alcune di queste parole, le più ricorrenti. Parole con cui nessuno mai si era confrontato prima d’ora, nemmeno gli stessi giornalisti che non di rado le pronunciano spesso con esiti esilaranti, se non fosse per la situazione drammatica con cui quest’anno si è aperto.
lockdown
Alzi la mano chi non ha usato o sentito almeno una volta questa parola. Evidentemente parole come “blocco” o “chiusura” o anche “confinamento” (spagn. confinamiento; franc. confinement) dovevano suonare troppo plebee per la lingua italiana.
droplets
La traduzione letterale è “goccioline”. Sono quelle goccioline emesse durante uno starnuto o un colpo di tosse (spagn. gotitas; franc. gouttelettes).
cluster
Letteralmente significa “gruppo”, “ raggruppamento”, “grappolo”. In questo specifico contesto, fa riferimento a gruppi di persone contagiate correlate allo stesso luogo. La parola che in italiano rende bene il concetto qui è “focolaio”.
termoscanner
Avete presente quell'oggetto a forma di pistola con cui ci “sparano” dritto in fronte all'ingresso di un negozio o di un ufficio? A che serve? A misurare la temperatura! Perché allora non chiamarlo semplicemente “termometro a infrarossi”?
drive in (o drive through)
Questa parola in realtà è entrata nella lingua italiana negli anni ‘50 del secolo scorso per indicare un cinema all’aperto, dove si assisteva alla visione dei film comodamente seduti nella propria automobile. In occasione del covid, sono stati attivati dei drive-in (la parola corretta sarebbe drive through, visto che le macchine non possono stazionare ma devono seguire un percorso precostituito), dove è possibile eseguire i tamponi dalla propria automobile attraverso una fessura del finestrino, seguendo le istruzioni del personale medico.
smart working
Si usa questa espressione per indicare il lavoro a distanza, cioè da remoto, e durante la quarantena ha permesso agli impiegati di poter continuare la propria attività da casa laddove questa non esigesse necessariamente una presenza fisica. È interessante notare qui la combinazione della parola working=lavorare con smart=intelligente, sveglio, rapido...Quindi lavorare di presenza non è intelligente? Né agile, come si suole tradurlo??? Non sarebbe meglio utilizzare semplicemente la parola “telelavoro” (spagn. teletrabajo; franc. télétravail)?
Nessuno sa il perché quest'invasione abbia avuto effetti in maniera così determinante solo nella lingua italiana. Si tratta davvero di un contagio dell’inglese o di una “concessione” del tutto italiana? La nostra personale idea è che in Italia l'inglese abbia preso il posto di quello che era del latino fino ad alcuni decenni fa. Chi usava intervallare i propri discorsi con qualche parola in latino, infatti, veniva considerato una persona di cultura e, magari, anche di alto livello sociale. Allo stesso modo, adesso, si è diffusa la tacita opinione che più usiamo l'inglese...più siamo top...e, si sa, ci rende...cool!